TRATTAMENTO PERCUTANEO DELLA TENDINITE CALCIFICA (PERIARTRITE) DELLA SPALLA

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Il termine tendinite o tendinopatia calcifica si riferisce alla deposizione di calcio, prevalentemente sotto forma di cristalli di idrossiapatite, nei tendini della cuffia dei rotatori. Questa condizione può essere asintomatica o determinare un quadro di “spalla dolorosa”, con positività variabile ai diversi test clinici in base alla localizzazione dei depositi calcifici. Ricordiamo a tale proposito che solo il 40% delle calcificazioni tendinee diventa sintomatico e come questa patologia rappresenta il 20% dei casi di “spalla dolorosa”. Il tendine sopraspinato è la sede in assoluto più frequente di localizzazione (80% dei casi circa) Sebbene la patogenesi delle calcificazioni rimanga ancora in parte oscura, si possono distinguere depositi calcifici inserzionali di natura distrofica e localizzazioni più prossimali endotendinee di origine reattiva. Quest’ultime dal punto di vista eziopatogenetico sono poste in relazione, tra le diverse ipotesi, alla presenza di un’area di relativa ischemia meccanica che interessa il tendine a circa 1-1,5 cm dall’inserzione (area critica) [2].
La storia naturale della tendinite calcifca contempla tre distinte fasi:

  • una fase formativa, che può essere asintomatica o altrimenti determinare una sintomatologia algica subacuta in particolare notturna;
  • una fase di riassorbimento, caratterizzata da un dolore acuto e penetrante che limita il movimento articolare e può essere talvolta accompagnato da febbre, causata dalla rottura della calcificazione nelle strutture circostanti con intensa reazione infiammatoria;
  • una fase ricostituiva, che segue il riassorbimento della calcificazione e conduce alla “restituito ad integrum”.

La tecnica diagnostica di prima istanza, di fronte al sospetto clinico di tendinite calcifica, è rappresentata dall’esame radiografico, che permette di valutare sede, numero e dimensioni delle calcificazioni, la presenza di depositi calcifici endo-bursali e le eventuali irregolarità erosive della testa omerale, che spesso accompagnano questa patologia (Fig. 1).

Tendinite calcifica del tendine sopraspinato

Fig. 1. Tendinite calcifica del tendine sopraspinato.

All’ecografia le calcificazioni appaiono come lesioni focali iperecogene. Possono essere distinti tre tipi di calcificazioni, in relazione alla fase evolutiva. Le calcificazioni di tipo I, le più frequenti, appaiono come lesioni focali iperecogene con netto cono d’ombra posteriore e rappresentano depositi calcifici in fase formativa. Le lesioni di tipo II e III presentano cono d’ombra debole o assente e rappresentano calcificazioni in fase di riassorbimento, quando i depositi sono prevalentemente fluidi. Le lesioni di tipo II e III sono spesso associate ad iperemia localizzata, rilevabile al color- o power-Doppler (Fig. 2).

Fig. 2. Deposito calcifico in fase di riassorbimento. Non è apprezzabile il cono d’ombra posteriore.

In questa fase i depositi di materiale calcico, data la loro maggiore fluidità, possono essere soggetti a migrazione sub- ed intra-bursale bene evidenziabile alla ecografia; tale fenomeno può essere la causa di una borsite acuta da microcristalli (Fig. 3).

Migrazione endobursale di materiale calcico.

Fig. 3. Migrazione endobursale di materiale calcico.

Mentre la radiologia tradizionale permette di stabilire grossolanamente quale tendine della cuffia dei rotatori sia interessato, l’esame ecografico risulta invece molto preciso nella localizzazione del tratto tendineo patologico, valutazione fondamentale per il puntamento a fini terapeutici. La Risonanza Magnetica nonostante la elevata panoramicità e le potenzialità di caratterizzazione tissutale non è metodica affidabile nella rilevazione delle calcificazioni.
Il trattamento della tendinopatia calcifica di spalla, è possibile mediante approccio chirurgico classico, sotto guida artroscopica, o mediante metodiche incruente quali le onde d’urto.
Attualmente la litoclasia percutanea sotto guida ecografica si propone come alternativa a tali metodiche. Il trattamento percutaneo ecoguidato delle calcificazioni intratendinee si basa sul monitoraggio in tempo reale del tragitto di un ago (di calibro compreso tra 14G e 18G) nel contesto dei tessuti molli fino al raggiungimento della calcificazione allo scopo di intervenire con assoluta precisione e selettività a livello della lesione per facilitarne la destrutturazione, il cambiamento di stato e lo scioglimento. La procedura, che richiede l’impiego di due operatori, prevede la preparazione di un campo sterile a livello del sito di introduzione dell’ago. Il primo operatore si occupa del posizionamento della sonda ecografica al fine di ottenere piani di scansione corretti e garantire la perfetta perpendicolarità fra la direzione del fascio ultrasonoro e l’asse maggiore dell’ago spinale, prerequisito indispensabile alla visualizzazione dello stesso (accoppiamento ago-sonda). Il secondo operatore si dedica all’introduzione dell’ago osservando in tempo reale sullo schermo dell’apparecchiatura ecografica il suo tragitto nei tessuti. Segue l’anestesia sottocutanea locale e l’inserimento dell’ago nei piani sottostanti fino al raggiungimento della borsa sub-acromion-deltoidea (SAD) che viene distesa con l’anestetico locale (anestesia bursale) (Fig. 4).

Scollamento delle pareti della borsa SAD

Fig. 4. Scollamento delle pareti della borsa SAD mediante l’introduzione di anestetico locale (anestesia bursale).

Prima dell’estrazione dell’ago utilizzato per l’anestesia bursale si può infiltrare il tessuto tendineo nei pressi della calcificazione con anestetico locale (anestesia pericalcifica). La fase successiva contempla l’inserimento di due aghi nel contesto della calcificazione. A questo punto si provvede al “lavaggio” della calcificazione mediante introduzione di soluzione fisiologica attraverso il primo ago con conseguente fuoriuscita del materiale calcico dal secondo ago. Lo sviluppo di un gradiente pressorio efficace all’interno della calcificazione è favorito dall’integrità del guscio mineralizzato che circonda il materiale calcico. Questa fase procedurale ne favorisce la destrutturazione e lo scioglimento (Fig, 5).

Fig. 5. Posizionamento degli aghi spinali nel deposito calcifico.

Soltanto il perfetto accoppiamento ago-sonda permette la visualizzazione corretta degli aghi.
Prima della rimozione definitiva degli aghi si procede all’introduzione di idrocortisone nella borsa SAD, al fine di ottenere un effetto anti-infiammatorio immediato e localizzato per ridurre il discomfort post-procedurale. La guida ecografica permette la corretta iniezione endobursale del farmaco, evitando pericolosi spandimenti nel tessuto tendineo contiguo. Seguono la medicazione cutanea e l’applicazione di ghiaccio.

La massima efficacia del trattamento, con riduzione significativa o scomparsa dei sintomi, si dimostra nel caso di calcificazioni di tipo II e III (fase di riassorbimento) associate a sintomatologia algica acuta ed in assenza di lesioni tendinee della cuffia dei rotatori. Anche i pazienti con dolore sub-acuto notturno, tipico dei depositi in fase formativa, possono essere trattati al fine di prevenire crisi iper-algica caratteristica del passaggio alla fase di riassorbimento… Le calcificazioni non vengono naturalmente trattate quando rappresentano un rilievo occasionale in corso di esami strumentali in soggetti asintomatici e nei casi in cui si sia già verificata la crisi iperalgica acuta ed essa sia andata incontro a risoluzione spontanea completa.

Le complicanze peri-procedurali sono poco frequenti in virtù della mini-invasività del trattamento e del monitoraggio continuo in tempo reale del tragitto dell’ago nei tessuti. Le complicanze post-procedurali sono infrequenti ed, il più delle volte, legate alla migrazione del materiale calcico all’interno della borsa SAD, con sviluppo di una borsite reattiva da micro-cristalli.

Nella nostra esperienza basata sul trattamento di 284 Pazienti, la valutazione della sintomatologia algica mediante scala VAS (Visual Analogue Scale) e della funzionalità articolare mediante il Constant’s Score ha evidenziato un signficativo miglioramento dal punto di vista clinico nel 75%.
I risultati radiologici sono ancora più confortanti, rivelando una evoluzione migliorativa del quadro radiografico (scomparsa o riduzione volumetrica superiore al 50% dei depositi calcifici) nel 93,4% dei pazienti.

Il fallimento del trattamento è probabilmente correlabile con la fase (depositi completamente strutturati) ed il numero delle calcificazioni (depositi multipli di piccole dimensioni). In questi casi la terapia con onde d’urto rappresenta una valida alternativa alla litoclasia percutanea ecoguidata.
In conclusione, l’ecografia si configura come la metodica di scelta nella fase diagnostica, terapeutica e nel follow-up della tendinite calcifica di spalla; l’elevata risoluzione spaziale consente infatti di dimostrare le più fini alterazioni ecostrutturali del tessuto tendineo, la precisa localizzazione, il numero e le dimensioni dei depositi calcifici. La litoclasia percutanea ecoguidata rappresenta un trattamento di provata efficacia che si pone al confine fra le tecniche chirurgiche artroscopiche ed i trattamenti incruenti come le onde d’urto.